Una passione chiamata Iran, intervista con Antonello Sacchetti

Dopo tante interviste, oggi è la volta di una chiacchierata d’eccezione. Antonello Sacchetti, giornalista, scrittore e grande appassionato di Iran ha accettato di parlarci del suo interesse decennale. Conoscitore e amante della Persia moderna, Antonello volutamente non smette mai di studiare la cultura e la società dell’affascinante Paese mediorientale, andandoci spesso e portandoci turisti italiani con i suoi tour organizzati.

Chi dice Persia dice arte, poesia e architettura, e chi vuole conoscere l’Iran non può prescindere dallo studiare la sua storia e leggere la sua letteratura, anche quella antica. Antonello questo lo sa bene, e ora ce ne parla.

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A Persepolis. Foto cortesia di Antonello Sacchetti

1. Ciao Antonello, grazie per avermi concesso l’intervista. Ci puoi parlare un po’ di te, cosa fai, di cosa ti occupi?

Grazie a te. È sempre strano parlare di me stesso. Ho quasi 45 anni, sono sposato, ho due figli e vivo a Roma. Sono giornalista pubblicista e lavoro nel settore della comunicazione. Definizione che può anche non voler dire nulla, ma se mi mettessi a spiegare esattamente cosa faccio per vivere, andremmo decisamente fuori tema per un blog dedicato all’Iran. Diciamo solo che l’Iran non è la mia attività principale, non è il mio lavoro “vero”. Il che non vuol dire che non affronti in modo professionale tutto quello che riguarda l’Iran.

2. Da quanto tempo frequenti l’Iran, e come è nata questa tua passione?

Da oltre dieci anni. Ero incuriosito e affascinato dal Paese e dalla sua storia. Quando poi sono andato in Iran, sono tornato letteralmente conquistato e con il desiderio (poi realizzato) di tornarci subito. Non c’è un solo motivo o un motivo apparentemente più grande degli altri alla base di questa passione. D’altra parte, è sempre piuttosto inutile provare a spiegare perché si ama qualcuno o qualcosa. Col tempo sono venuti i libri (quattro e a breve ne uscirà uno nuovo), e il blog dedicato all’Iran, Diruz. In forma diversa, sono tutti modi per raccontare questa passione. Non ho la pretesa di compiere opera di “divulgazione”, per me leggere, ascoltare, parlare e scrivere di Iran rimane innanzitutto un piacere.

3. Quando sei andato per la prima volta e cosa ti ha spinto a fare quel viaggio?

Nel 2005, spinto da una grande curiosità. Erano un paio di anni che volevo visitare il Paese, avevo letto diversi libri e mi stavo appassionando alla sua poesia classica. Partii col timore che un’aspettativa così grande potesse comunque comportare delusioni. E invece quello che vissi in quel viaggio fu esaltante. Fu davvero l’inizio di quella che è ormai una parte importante della mia vita.

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Antonello davanti alla tomba di Ciro il Grande. Foto cortesia di Antonello Sacchetti

4. Com’è il tuo rapporto con l’Iran? Quali sono gli aspetti che ti piacciono di più e cosa ti piace di meno?

Il rapporto con l’Iran è una passione. Il che vuol dire che, andando all’origine della parola, comporta anche una dose non indifferente di “sofferenza”. In termini di fatica, di arrabbiature, di grande dispendio economico, in alcuni casi. Però quello che poi mi ridà come entusiasmo, davvero non ha prezzo. È impossibile cercare di definire o circoscrivere una passione del genere. A me piace “imparare l’Iran”, studiarne la lingua, la cultura, la storia, conoscere gli iraniani, confrontarmi con le loro storie personali. Alla fine, quello che mi rimane è la bellezza dell’Iran. E il non sapermi “abituare” a questa bellezza, che sia l’interno della Moschea di Shehik Loftollah di Esfahan o certe espressioni meravigliose del tarof, il galateo persiano. È anche una bellezza interiore, nel senso che non devo necessariamente esprimerla o condividerla. È una cosa misteriosa, che io per primo non so spiegarmi.

Certo, poi ci sono aspetti della situazione sociale e politica dell’Iran che non mi piacciono affatto, come le tante questioni legate alle violazioni dei diritti umani. Ma anche altri aspetti poco conosciuti: ad esempio, la società iraniana è molto classista e conferisce al denaro e allo status economico un’importanza enorme, che non mi piace per niente. D’altra parte, amare un popolo o una cultura non vuol dire sposarne al 100% tutti gli aspetti. Ma per me rimane fondamentale una questione: quello che sia giusto o ingiusto per gli iraniani, devono essere gli iraniani a deciderlo. Posso esprimere delle opinioni, non posso e non devo pretendere di dare lezioni su alcunché. A leggere certe “analisi” di alcuni “esperti”, vengono davvero i brividi.

5. C’è un’esperienza particolare che ricordi con piacere?

Di esperienze ce ne sono tantissime e davvero belle. Devo dire che un episodio risalente a un paio di anni fa è stato particolarmente divertente e gratificante: ero nel centro di Teheran, dalle parti di Piazza Vali Asr, quando una signora mi ha scambiato per iraniano e mi ha chiesto indicazioni per la fermata della metro. Il caso ha voluto che sapessi che indicazioni darle, e poterle rispondere in persiano è stato davvero molto bello. Poi non posso non citare la prima volta che arrivai nella Naqsh-e Jahan, la meravigliosa piazza di Esfahan. Probabilmente è lì che presi coscienza che era scoccata la scintilla. Ogni volta che ci torno, non posso fare a meno di emozionarmi.

6. Ci sono “pezzi” di Iran che ami portare in Italia quando torni dai tuoi viaggi?

Ogni passaggio a Esfahan è pericoloso per il mio bagaglio e per il mio portafoglio: rischio sempre di esagerare, ma non so davvero resistere al fascino del bazar, anche perché ogni volta mi sembra di scoprire qualcosa di nuovo. Quello che non manca mai è qualche oggetto, anche piccolo, di artigianato locale, come le scatoline in osso di cammello. Da mangiare, ovviamente pistacchi, anacardi e gaz, i dolcetti tipici di Esfahan. Non mancano mai libri o dvd di registi iraniani; mi piace spulciare nelle librerie, vedere cosa si pubblica, cosa si legge. Magari poi impiego anni a leggere e vedere tutto, però è un modo di portare l’Iran con me.

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Antonello a Soltaniyeh. Foto cortesia di Antonello Sacchetti

7. Ho visto che organizzi tour dall’Italia, ti è mai capitato di portare persone che all’inizio si mostravano titubanti o erano visibilmente suggestionate da una copertura mediatica negativa?

Sì, assolutamente. Anzi, la disinformazione è il problema principale quando si ha a che fare con l’Iran, un po’ in tutti gli aspetti. Ci sono persone che rimangono assolutamente sconvolte dalla differenza tra il Paese che li accoglie e quello che si aspettavano. Devo anche dire che certi pregiudizi sono davvero duri a morire e magari un viaggio non basta a scalfirli. La cosa più triste è invece l’aggressività sui social media da parte di alcune persone che evidentemente non sopportano l’idea che qualcuno possa organizzare e promuovere viaggi in Iran. Escono commenti davvero violenti e volgari, segno di un’ignoranza spaventosa.

8. Quali sono le soddisfazioni maggiori dei tour che fai in Iran?

Vedere le persone che si appassionano, si emozionano, si commuovono davanti alla bellezza dei luoghi e all’ospitalità degli iraniani. La soddisfazione più grande è sapere che qualcuno che è venuto in Iran con me, ci è poi ritornato per conto suo. È bello quando riesco a “contagiare” qualcuno con questa mia passione.

9. Secondo te, quale dev’essere il giusto approccio di chiunque decida di andare in Iran per la prima volta?

Se c’è davvero il desiderio di scoprire l’Iran, la cosa migliore è abbandonarsi al viaggio, non pretendere di razionalizzare nulla, ma lasciare che sia l’Iran a conquistarti, a sedurti e ad accompagnarti nel percorso. E poi, ovviamente, la cosa migliore è venirci con me!

10. C’è qualcos’altro che vuoi condividere sulle tue esperienze iraniane?

Mi piacerebbe riuscire a condividere anche solo parte della malinconia che mi lega all’Iran. Non è facile da spiegare, ma forse è la vera chiave del mistero, del perché di questa passione. Provo a raccontarla con i libri, ci provo scrivendo della cultura, della poesia iraniana. Ma mi rendo conto che provare a spiegarlo in questa intervista, vuol dire chiedere troppo a me stesso e ai lettori.

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